È entrato in vigore il 2 aprile 2015, il decreto legislativo n. 28 del 16 marzo 2015, riguardante le disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’art. 1, comma 1 lett. m), della legge 28 aprile 2014, n. 67 che inserisce nel Codice Penale il nuovo art. 131 bis.
La disposizione statuisce che per i reati sanzionati con la pena detentiva fino a 5 anni o con la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva, il Giudice possa dichiarare la non punibilità, ai sensi dell’art. 131 bis c.p. “quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, I comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
Doveroso precisare, che ai fini della determinazione della pena detentiva, non devono essere computate le circostanze del reato, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale.
In questi casi, il giudice demanderà la questione ad una valutazione di tipo civile e, secondo quanto stabilito dal nuovo art. 651 bis c.p.p., la sentenza di proscioglimento pronunciata dal Tribunale penale ai sensi dell’art. 133 bis c.p. avrà efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, per le restituzioni ed il risarcimento del danno.
Al II comma, sempre dell’art. 131 bis c.p., sono state poi previste delle precise limitazioni all’applicazione indiscriminata del nuovo istituto – in ragione di quanto evidenziato dalla Commissione giustizia della Camera dei Deputati – poiché si è stabilito che la nuova causa di non punibilità non possa trovare applicazione “quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”.
Parimenti – sempre in attuazione delle indicazioni dalla stessa Commissione Giustizia della Camera dei Deputati – si è previsto che in alcune ipotesi il comportamento criminoso vada automaticamente considerato abituale. Vi è, quindi, una sorta di presunzione ex lege nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso altri crimini della stessa indole anche se ciascun atto, considerato isolatamente, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati a condotte plurime, abituali, reiterate.
Da ultimo, il d.lgs. n. 28/2015 modifica anche alcune disposizioni in relazione al Casellario Giudiziale stabilendo che vadano iscritte, e cancellate dopo 10 anni dalla pronuncia, le decisioni che accertano la particolare tenuità del fatto. Comunque, tali provvedimenti non dovranno essere riportati né nel certificato generale, né in quello penale.
Ciò detto, pur se l’assetto originario è stato profondamente rivisto con puntuali interventi normativi integrativi ed anche se sicuramente si formeranno, con il tempo, solide prassi applicative e dettagliati precedenti giurisprudenziali, è pur vero che le preoccupazioni dell’opinione pubblica e degli “addetti al settore” sono molteplici.
Personalmente, ad esempio, non solo non concepisco l’inserimento di un concetto incerto quale quello della discrezionalità nell’ambito penale ma non riesco neppure a comprendere come questo forte potere riconosciuto al Giudice possa adeguatamente bilanciarsi con i principi costituzionali fondanti del nostro Ordinamento: la tassatività e la determinatezza del diritto.
Inoltre, a mio parere, tale istituto pare scontrarsi anche con tutte le garanzie sottese ad un altro principio fondante; l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, creando una netta contraddizione tra il ruolo del Pubblico Ministero, costretto ex lege ad attivarsi di fronte ad una notizia criminis, e quello del Magistrato giudicante, dotato della facoltà di dichiarare non punibile un reato di fatto perfettamente integrato.
Ma vi è di più.
In effetti, questa sorta di rinuncia punitiva da parte dello Stato che riguarda appunto moltissime fattispecie criminose – alcune peraltro di forte impatto sociale – potrebbe in qualche modo agevolare anche la diffusione di attività illecite.
Infine, molti sono anche i dubbi dell’applicazione di tale istituto alla responsabilità da reato degli enti ai sensi del d.lgs. n. 231/2001.