La Commissione tributaria regionale per il Lazio ha promosso questione di costituzionalità circa la legittimità di applicazione dell’art. 32, comma 1, numero 2) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, così come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera A), numero 1), della Legge n. 311/2004 anche ai liberi professionisti e non solo ai titolari di reddito d’impresa.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 228 del 06 ottobre 2014 ha dichiarato incostituzionale l’applicazione dell’art. 32, comma 1, numero 2) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, così come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera A), numero 1), della Legge n. 311/2004 ai liberi professionisti.
Come noto, infatti, l’art. 32 cit. al comma 1, numero 2), come modificato dall’art. 1 della Legge n. 311/2004, prevede che “i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18 comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempre che non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni.”
Quindi, l’art. 1 della Legge n. 311/2004, che originariamente riguardava solo gli imprenditori in quanto era limitata ai “ricavi” ha coinvolto i lavoratori autonomi riferendosi anche ai “compensi”. Per tale ragione, è stata estesa ai liberi professionisti la presunzione, sulla quale fondare gli accertamenti sul reddito, in base alla quale le somme prelevate e/o versate dal conto corrente costituiscono compensi assoggettabili a tassazione quando non sono annotate nelle scritture contabili e non sono indicati i soggetti beneficiari dei pagamenti.
Tuttavia, la Corte Costituzionale, pur dando atto di tale modifica normativa e pur comprendendo le ragioni poste alla base dell’estensione, ha evidenziato alcune rilevanti differenze che di fatto devono vietarla.
Preliminarmente, a parere del Giudice delle Leggi, vi è violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione laddove si estende l’inversione dell’onere della prova ai compensi dei liberi professionisti poiché, nel caso di reddito prodotto da lavoro autonomo, non sono sempre ipotizzabili i rapporti presuntivi tra costi e ricavi che invece sono tipici del reddito d’impresa.
Inoltre, estendendo tale normativa anche ai liberi professionisti, si andrebbero a violare gli artt. 24 e 111 della Costituzione poiché si procederebbe di fatto ad una applicazione retroattiva della norma agli anni di imposta o in corso o anteriori rispetto all’entrata in vigore della Legge n. 311/2004, obbligando i lavoratori autonomi, in violazione del principio del contradittorio, ad assolvere ad un onere probatorio imprevedibile ed impossibile da assolvere.
Dunque, la Corte Costituzionale, pur riconoscendo alcune affinità tra l’imprenditore ed il lavoratore autonomo ha ribadito che le due figure non vadano equiparate circa l’applicazione della su citata presunzione secondo la quale il prelevamento dal conto bancario deve corrispondere necessariamente ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo.
Infatti, a parere della Corte, il lavoro autonomo è caratterizzato principalmente da attività di tipo intellettuale ed ha un apparato organizzativo del tutto marginale.
Ed inoltre, proprio in ragione del fatto che molti liberi professionisti si avvalgono di sistemi di contabilità semplificata che inevitabilmente portano ad una promiscuità delle entrate e delle uscite che rende difficoltosa una netta distinzione tra ciò che può essere ricondotto all’area professionale e ciò che invece attiene alla sfera personale.
Quindi, alla luce di tali argomentazioni, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), limitatamente alle parole «o compensi», statuendo che “la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.