A pochi giorni dall’entrata in vigore della nuova causa di non punibilità per tenuità del fatto prevista dall’art. 131 bis c.p., recentemente introdotto dal d.lgs. n. 28/2015, è già intervenuta la Suprema Corte di Cassazione che, sollecitata dalla difesa dell’imputato, ha definito i margini applicativi dell’istituto.
Ha nettamente statuito che la disciplina dell’art. 131 bis c.p. sia retroattiva e sia, quindi, applicabile anche ai procedimenti in corso.
Tuttavia, la III Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione ha chiarito – con la sentenza n. 15449/2015, primissima pronuncia sul punto – che non vada estesa a quanti si siano sottratti in maniera fraudolenta al pagamento delle imposte.
Gli Ermellini hanno infatti respinto il ricorso presentato dalla difesa di un imputato che era stato condannato dalla Corte di Appello di Milano per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte previsto e punto dall’art. 11 del D.lgs. n. 74/2000.
Effettivamente era emerso che l’imputato, in veste di socio accomandatario e liquidatore di una società in accomandita semplice, aveva costituito un trust per rendere inefficace ed ostacolare la procedura di riscossione coattiva delle imposte dirette e sul valore aggiunto per un valore di circa 500.000 euro.
Attraverso la costituzione del trust, infatti, l’imputato aveva trasferito a sé stesso come trustee l’intero patrimonio attivo e passivo della s.a.s. e, dunque, disponente e trustee facevano di fatto capo alla medesima persona.
Inoltre, non solo la dichiarata finalità liquidatoria indicata nell’atto costitutivo del trust non era mai stata comunicata ai creditori sociali, ma soprattutto il trust che formalmente era stato appunto creato per soddisfare i creditori si evidenziava in tutta la sua inutilità poiché, in caso di liquidazione, i creditori avrebbero potuto trovare soddisfazione sul patrimonio sociale, nel caso in cui fosse stato sufficiente, o fare ricorso alle procedure concorsuali di tipo fallimentare, se insufficiente.
A ciò si aggiunga che nel caso di specie non vi era traccia di alcun tipo di comportamento concludente, volto ad esempio al pagamento anche parziale delle imposte.
Quindi, i giudici di merito non avevano dubitato circa la legittimità del trust, bensì avevano contestato lo scopo fraudolento della sua costituzione, rinvenendo come unica finalità dell’operazione il tentativo di sottrarre il patrimonio alla procedura coattiva.
In udienza, davanti alla Corte Cassazione, la difesa dell’imputato aveva poi richiesto che venisse applicato al caso sottoposto il nuovo articolo 131 bis del Codice Penale introdotto dal decreto legislativo n. 28 del 2015.
Il Decreto, che non contiene una disciplina transitoria, risulterebbe quindi sottoposto alla normale lettura gerarchica delle fonti in relazione ai principi generali dell’ordinamento penale, quali ad ed esempio il favor rei statuito all’art. 2, IV comma c.p.
Quindi, secondo i Supremi Giudici la nuova disposizione è applicabile anche ai procedimenti di merito in corso al momento dell’entrata in vigore della suddetta normativa.
Ma non solo.
La questione giuridica sollevata è stata ritenuta correttamente proposta anche in sede di legittimità poiché, in conformità con il disposto dell’art. 609, II comma c.p.p., la difesa dell’imputato non avrebbe potuto dedurre in appello tale richiesta dal momento che la norma è entrata in vigore solo il 2 Aprile.
Tuttavia, la Suprema Corte ricorda che per una corretta applicazione dell’art. 131 bis c.p. sia imprescindibile la verifica della sussistenza dei requisiti postulati.
Sicuramente il primo accertamento, riguarda l’entità della pena del reato che, se detentiva non deve essere superiore nel massimo a 5 anni.
Verificato il rispetto dei limiti della pena, è poi doveroso approfondire i due requisiti di merito postulati dalla norma: la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.
In relazione al primo criterio, la Corte precisa che tale indice si articola, secondo quanto espressamente definito ed indicato dalla relazione di accompagnamento al decreto legislativo, in due sotto requisiti che sono la modalità della condotta e, in ragione della natura del reato, l’esiguità del danno o la scarsa gravità del pericolo; tali elementi devono essere valutati secondo il disposto di cui all’art. 133 c.p.
Nel caso espressamente analizzato, la fattispecie criminosa risponde certamente ai limiti di pena indicati nell’art. 131 bis, I comma c.p. ma la Suprema Corte afferma che la causa di non punibilità non sia applicabile perché non sono rinvenibili gli altri due requisiti.
Infatti, “nel provvedimento impugnato emergono plurimi dati chiaramente indicativi di un apprezzamento sulla gravità dei fatti addebitati” al ricorrente.